Parkinson: i giovani

Hanno meno di 50 anni. E il morbo di Parkinson. Si definiscono «ammaccati, ma buoni». I giovani parkinsoniani, alcuni appena trentenni, sono circa 30mila in Italia. «Quasi nessuno sa che esistiamo, perché si pensa che sia solo una malattia senile – spiega Claudia Milani, presidente dell’Associazione italiana giovani parkinsoniani, a Redattore Sociale -. L’Associazione è nata per fare informazione, aiutare chi si ammala e condividere la propria esperienza con chi sta vivendo la stessa situazione». Quando arriva una diagnosi così pesante, si è increduli, si ha paura. Bisogna fare i conti con un corpo che non è più quello di prima.

Rebecca ha ricevuto la diagnosi quando aveva 34 anni. Scrive suo marito: «Non la voglio trattare come una malata. Intento nobile, ma un detto recita che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Lei non lavora più, fa piscina, pilates, shiatsu, fa di tutto per recuperare tono fisico, per non far comandare a Mr. Parkinson le giornate. Mi chiedo sempre più spesso se non voglio parlare dell’ospite indesiderato perché fa paura o se veramente è solo per farle fare una vita normale. Poi però molte volte provo goffamente a dire “come stai?”. Ma non serve ad individuare i momenti in cui condividere la Sua storia con Mr. Parkinson. […] In questi anni è tramontata anche la possibilità di avere un figlio, ovvio dare la colpa all’intruso, ma sinceramente non importa di chi sia la colpa, importa che anche questo aiuta a creare tensioni, non ad allentarle. La testa mi dice che siamo fortunati, il cuore che sogno di vivere una lunga esistenza con Lei. I fatti che sono goffo e imbranato e molte volte mi perdo. […] In questi anni ho scoperto che la mia piccola ha forza d’animo e ha accettato un rapporto con Mr Parkinson. La Sua vita è cambiata, non il Suo interesse alla vita e nemmeno il Suo amore per i Suoi cari, me compreso. Che ti devo dire Mister Parkinson? Sì fai paura a me, credo anche a Rebecca, ma la prima tappa l’ha vinta Lei continuando ad amare e questo, Mr, vale più degli handicap che Lei hai regalato o dei miei errori, anzi è l’unica cosa che conta».

Racconta Stefania, 34 anni: «Il mio rapporto con il Parkinson è conflittuale, mi fa paura, non l’ho ancora accettato. Per me, per ora, significa una vita di farmaci e peggioramenti, di incognite perché non sai mai come ti sveglierai, non sai mai se la tua giornata sarà buona o cattiva. Ultimamente sto prendendo più consapevolezza della mia malattia, ma il percorso per me è ancora lungo, spero di trovare la serenità un giorno. Vorrei avere dei figli, ma per il momento lo scombussolamento della diagnosi e i farmaci non lo rendono possibile. Mi ritengo comunque una persona con grande forza di volontà perché nonostante tutto mi sono laureata in Biotecnologie industriali e sono un tecnico di laboratorio, si tratta di un lavoro di precisione, e sono orgogliosa del fatto che non mi sono mai fatta frenare dalle mie mani tremanti».

Alle sofferenze, ai continui esami e alle medicine, si aggiungono quasi sempre problemi sul lavoro. «Molti perdono il posto – sottolinea Claudia Milani-. Ed è profondamente ingiusto, perché noi siamo ancora in grado di lavorare. Abbiamo bisogno di alcune agevolazioni, di rallentare un po’ il ritmo. Ma possiamo ancora dare il nostro contributo». Per questo l’Associazione italiana giovani parkinsoniani chiede che sia redatto un protocollo da adottare nei luoghi di lavoro per la tutela e la valorizzazione dei giovani parkinsoniani. «A volte basterebbe concedere il part time, oppure la possibilità di poter lavorare da casa per alcuni giorni alla settimana» dice Milani.

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Parkinson: i giovani ultima modifica: 2019-06-19T14:33:36+02:00 da Aura