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Demenza senile: un nuovo studio

Ammesso che l’immortalità sia una condizione a cui voler tendere, oggi forse l’unico mezzo a renderci tali è la scrittura. Saper scrivere, e quindi leggere, ferma il tempo. Queste abilità, però, non vanno intese come una semplice dotazione appannaggio dell’essere umano bensì andrebbero coltivate al pari di un dono inaspettato e prezioso. La scrittura come sfogo, o come segno dei tempi, meglio ancora come ricettacolo segreto di emozioni che prendono vita attraverso un tratto (soggettivo e mai uguale) in grado di distinguere e catalogare suggestioni, attimi, gioie, dolori e perplessità.

Questa attività, insieme a quella della lettura, concilia la nostra anima e ristora il nostro fisico perchè le parole hanno un peso – no, non l’ha detto soltanto Tiziano Ferro – e quel peso se ben gestito aiuta ad alleggerirci la coscienza: non si tratta di fare da scarica barile con l’alter ego di noi stessi, ma di mettere nero su bianco determinate sensazioni per riviverle andando a riaprire vecchie pagine – magari un po’ ingiallite – per ritrovare l’essenza di noi stessi quando ci sentiamo persi.

Che la scrittura e la lettura facciano bene non è una convinzione soltanto degli ultimi romantici, di coloro che magari si sciolgono ancora come neve al sole aprendo una lettera d’amore o un biglietto di compleanno, lo conferma – fra le altre cose – anche uno studio portato avanti dal team scientifico della Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons pubblicato sulle pagine della rivista Neurology.

“La lettura e la scrittura possono rappresentare dei fattori chiave per mantenere il cervello sano e non è necessario avere alle spalle anni e anni d’istruzione, spiega la coordinatrice dell’indagine Jennifer Manly.

Lo studio della Columbia University, nello specifico, prende in esame un campione di 1000 individui – all’interno del quale c’è anche una percentuale di analfabeti – con 77 anni di età media. La differenza, in tal senso, la fanno proprio i 237 analfabeti poiché  fra questi il 35% soffre di una forma di demenza.

Numeri importanti, riscontri fondamentali e per nulla trascurabili, se correlati al fatto che fra i soggetti alfabetizzati coloro che sono affetti da demenza ricoprono appena il 18%. “Il nostro lavoro fornisce nuove prove del fatto che leggere e scrivere potrebbero essere fattori importanti per mantenere il cervello sano, ha sottolineato la Manly.

Infatti la medesima indagine viene riproposta ciclicamente ogni 4 anni, la cosa sconvolgente è che i tassi di analfabetismo sono talmente elevati – e in aumento – da favorire ulteriormente la demenza: dopo un quadriennale i “dementi” analfabeti arrivano a toccare il 48%. Mentre la demenza, sempre nello stesso lasso di tempo, è diminuita ulteriormente fra coloro che si dilettano (anche in veneranda età) con letture e scritture. A fronte di tutto ciò la Manly avverte: “Essere in grado di leggere e scrivere consente alle persone di intraprendere un maggior numero di attività che coinvolgono le risorse mentali, come leggere il giornale o aiutare i nipoti coi compiti a casa”. Leggere, dunque, è il cibo della mente. Scrivere può essere un buon contorno. L’importante è non restare affamati. Saper saziare la propria voglia di apprendimento, soddisfare la propria sete di conoscenza, diventa una priorità nel mondo globalizzato. Anche e sopratutto quando la carta d’identità ci obbligherebbe a stare a riposo.

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Demenza senile: un nuovo studio ultima modifica: 2019-12-02T10:47:37+02:00 da Aura